Posted on 30 agosto 2014 by Luca in Cambiamento, Formazione, Sviluppo Personale

Ama quello che fai e fai quello che ami.
- Wayne W. Dyer
Il Talento è una unità di misura che nell’antichità misurava quello che un uomo poteva portare. Nasce nel mondo sumero-babilonese e poi si diffonde dall’Egitto alla Grecia per rappresentare valori che vanno dai 25 ai 45 chilogrammi. Rimane misura di un peso importante, pari a 100 libbre o dracme ma diventa anche una moneta e una moneta preziosa, tanto da rappresentare allora ed oggi il valore di una persona.
Per una persona realizzata è facile dire che è talentuoso: ci sa fare con la musica, con gli affari, ha successo con lo sport, qualunque sia il suo valore è un valore riconosciuto dagli altri e di cui è consapevole.
Ma per chi ancora non si sente realizzato, per chi deve fare scelte di studio o di lavoro, la domanda sembra essere sempre quella: non so cosa fare, quale è il mio talento? Cosa dovrei studiare? Su cosa mi dovrei impegnare?
E se chiede consiglio non ne ricava molto. A seconda di chi trova avrà due tipi di risposte diverse: Fai quello che ti piace ovvero fai quello che viene apprezzato di più dagli altri.
Segui la tua passione o fai quello che più ha mercato.
Risposte che portano ad un corto circuito perché non so ancora cosa mi appassiona e non ho una competenza riconosciuta.
Cosa fare? Dove investire il proprio tempo?
Di sicuro non sprecandolo. Una delle più grandi maledizioni che Dio fa all’uomo nella Bibbia è proprio nella parabola dei talenti:
“Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha. E gettate questo servo inutile nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti”.
La maledizione non è nella condizione iniziale, chi ha ricevuto 5 talenti, chi 2, chi uno. La maledizione non è per il risultato che porta. La maledizione la riceve chi per ignavia, per paura, per insicurezza non si mette in gioco.
Ma torniamo al punto di partenza mi direbbe qualcuno mettermi in gioco dove? Per fare cosa?
In questo periodo in cui non ci sono opportunità poi, sembra abbiamo tutte le giustificazioni per non dover rendere conto di come impegniamo i nostri talenti.
Un circolo vizioso che può diventare un circolo virtuoso se partiamo dal qui e ora: fare al meglio delle nostre capacità in modo da creare valore per gli altri.
E probabilmente mi appassiono sempre di più se faccio una cosa per cui ho riscontri positivi da parte degli altri ed ho riscontri positivi da parte degli altri se faccio la cosa che più mi appassiona.
Perché poi vale la regola delle 10.000 ore di pratica di cui parla Gladwell: che tu voglia pilotare un aereo, suonare un violino o fare il falegname, solo tanta pratica e costanza farà di te un esperto. E il tuo valore riconosciuto.
Così come un talento non va dato per scontato. Va praticato ogni giorno, altrimenti succede quello descritto in una massima attribuita a tanti musicisti: “se non pratico un giorno me ne accorgo io, se non pratico per due giorni se ne accorge mia moglie, se non pratico per sei mesi se ne accorge il pubblico”.
Una ultima annotazione sulla importanza del riconoscimento reciproco dei talenti. Maslow lo spiega con la sua scala dei bisogni: l’autorealizzazione si appoggia sulle spalle dell’autostima. L’autostima sulle spalle del riconoscimento da parte degli altri.
A volte per stimolare il talento in chi ci sta attorno basta solo fare una cosa tanto semplice. Prendersi il tempo e la briga di andare a dire a chi ci sta attorno cosa apprezziamo di quello che fa. Ci prendiamo allora la soddisfazione di fare da sponsor a chi ci sta attorno aiutandoli a trovare la loro passione, aiutandoli a trovare il loro talento.
Ma la risposta più bella per avere una guida nel coltivare i propri talenti l’ha data Tolstoj nel suo bel racconto delle tre domande:
Qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte?
Ricorda che c’è un unico momento importante: questo. Il presente è il solo momento di cui siamo padroni.
La persona più importante è sempre quella con cui siamo, quella che ci sta di fronte, perché chi può dire se in futuro avremo a che fare con altre persone?
La cosa che più conta sopra tutte è rendere felice la persona che ti sta accanto, perché solo questo è lo scopo della vita”.