Un abbraccio

Posted on by luca in Cambiamento, Leadership, Sviluppo Personale

Hug-Day-Status-for-Whatsapp-and-Messages-for-Facebook3

“Se solo potessi dargli un abbraccio… è che non lo capirebbe!”

Questo il commento di un manager parlando di un collega con cui ci sono difficoltà relazionali.

Un abbraccio. Mi ha fatto pensare la cosa. Quanto la dimensione affettiva sia presente anche nelle aziende “manageriali” e non solo nelle aziende familiari. A volte si coltiva il falso mito che le aziende manageriali siano un concentrato di comportamenti razionali ma non è così. Sono dinamiche relazionali su cui si innestano dinamiche professionali.

Le aziende sono fatte di persone. E di abbracci.

 

Integrazione, Armonia e lo Spirito del Natale

Posted on by Luca in Organizzazione, Società

15420860_10158231319940221_5668962702228719282_n

Quando partecipi ad un Concerto di Natale ne godi lo spettacolo e ti fai prendere dalle magie delle luci e delle voci, della musica e della danza.

Parlare di Natale ora non è strano. Che sia per motivi religiosi o solamente consumistici, oramai ci siamo e le luminarie ce lo ricordano. E di concerti di Natale son piene tante piazze.

Ma quello a cui ho assistito ieri aveva qualcosa di speciale. Qualcosa di più. Parlare di Natale a febbraio, marzo è un po’ più faticoso. Tante incombenze ti fanno pensare che c’è tempo, quando qualcuno ti tira per la giacchetta e ti coinvolge per organizzare una prima edizione del Gran Concerto di Natale di Montebelluna.

Ma è il tempo che vola, e riunione organizzativa dopo riunione organizzativa, telefonate per richiedere sponsorizzazioni e per coinvolgere persone ti ci ritrovi in men che non si dica.

Ti siedi e guardi lo spettacolo e pensi a quanto speciale è l’evento. Non è il solito concerto di Natale, non sono le solite canzoni tratte dai soliti repertori.

Quello che senti è integrazione ed armonia fatta di più di cento persone tra musicisti, cantanti, coristi, ballerini, provenienti da scuole diverse, aggregati e accomunati dalla volontà di creare un evento unico a sostegno di ABIO, una associazione di volontari che sostiene i bambini in ospedale.

Quando vedi muoversi sul palco tante realtà diverse per età, per stili, per competenze, che sanno mettersi in gioco per creare un amalgama armonico, scopri che puoi leggere lo spettacolo su tanti piani diversi. C’è quello artistico ma c’è anche quello organizzativo. C’è quello operativo ma c’è anche quello ideale.

Perché è molto difficile armonizzare una orchestra, un gruppo.
Ma è molto più sfidante integrare gruppi diversi, direttori diversi.

Per farlo la grande lezione che mi sono portato a casa è che è possibile solo se chi si pone l’obiettivo di un progetto del genere riesce a stare un gradino sopra e un gradino sotto.

Un gradino sopra, perché deve avere in mente uno scopo, un disegno, una visione capace di aggregare, di attrarre gli altri.

Un gradino sotto, perché deve farlo con l’umiltà necessaria perché tutti si sentano attori protagonisti e non passivi comprimari. Perché non deve mai fare il protagonista che vuole apparire sotto i riflettori ma deve fare in modo che sotto i riflettori vadano tutti quelli che partecipano al progetto.

A tutti i livelli, dallo scacchiere mondiale al condominio sotto casa c’è sempre il pericolo di grandi divisioni, di bianco e di nero, di guelfi e di ghibellini. Di noi contro loro. Vedere la capacità di una persona di aggregare altre persone. Di un gruppo di aggregare altri gruppi è invece una nota di speranza, di ottimismo. Di convinzione che con il male c’è sempre anche il bene.

Una lezione di leadership. Di leadership di servizio.

Grazie Maestro!

Una conversazione alla volta

Posted on by Luca in Senza categoria

https://www.youtube.com/watch?v=X3kSC9aIefU

Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi.  Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?

Chi non si ricorda Al Pacino in Ogni Maledetta domenica lanciare uno degli appelli al lavoro di squadra, al sacrificio individuale e alla integrazione?

E’ qualcosa che vale per le nostre aziende, per i nostri campanili, per le nostre amministrazioni, per i governi.

La differenza è che i centimetri del campo di football si trasformano in parole e conversazioni. Una conversazione alla volta e formiamo il successo della nostra integrazione con l’altro.

La differenza è che i centimetri si conquistano contro un avversario, le conversazioni si conquistano con un partner.

La Forza della Debolezza

Posted on by Luca in Letture, Sviluppo Personale

“Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.” – San Paolo, 2a Lettera ai Corinzi, 12,7-10

Hai incrociato il tuo limite? Festeggia! Hai incrociato la tua forza? Alza la guardia.
Oggi San Paolo come sempre ci provoca e ci spiazza; addirittura ci fa vedere quanto sia funzionale la tentazione del male per ricordare il nostro limite. E non è un limite che giustifica le nostre azioni limitate, è un limite che ci ricorda che il senso e la finalità del nostro agire sta nel far dimorare in noi la potenza del Cristo, il farci parte del Creatore, il nostro lavorare allora al servizio di qualcosa di più grande di noi che ci contiene e non per noi e il nostro potere.
Altrimenti è quando sono forte che monta la mia superbia, non mi rendo conto del mio limite, e divento debole.

 

Egidio Maschio e la Trappola del Fondatore

Posted on by Luca in Family Business, Governance, Leadership

Egidio Maschio

E’ Mercoledì pomeriggio, mi sto preparando per un incontro delicato con un imprenditore sessantenne, fondatore della sua http://samedayessays.org/research-paper/ impresa e capace ancora di pensare a futuri di sviluppo tanto ambiziosi. Internet mi rimbalza la notizia di Egidio Maschio un imprenditore che si toglie la vita all’alba, a 73 anni, poche settimane dopo aver fatto un passo indietro e aver ceduto la gestione dell’azienda a due manager esterni, forse voluti dalle banche per mettere in sicurezza una impresa cresciuta tanto anche in anni di crisi ma un po’ troppo indebitata.
A seconda delle nostre convinzioni e di quanto conosciamo il caso, possiamo parlare dei mali della politica, delle banche, degli imprenditori, della globalizzazione…
Forse un po’ tutto vero. Mi viene però da pensare anche che la Trappola del Fondatore ha mietuto un’altra vittima.
Il Ciclo di Vita delle Imprese di Adizes ce lo spiega molto bene. Dopo aver fondato l’impresa e aver superato gli scogli dell’infanzia in cui lotti per http://samedayessays.org/help-with-homework/ far sopravvivere la tua nuova creatura, si apre una stagione entusiasmante per tanti imprenditori.
E’ la stagione che Adizes chiama go-go. Non c’è una vera organizzazione e una vera delega, l’imprenditore ha molti collaboratori ma è al centro dell’organizzazione che ha una forma a stella, lui al centro e tutti intorno. Una grande flessibilità e velocità di decisione che gli permette di cogliere al volo le opportunità, che gli permette di risolvere problemi altrimenti irrisolvibili. Peccato che il problema diventi proprio la centralità del suo ruolo. Da una parte l’organizzazione senza il perno dell’imprenditore rischia di afflosciarsi come un soufflé mal lievitato, dall’altra l’imprenditore rischia di perdere il contatto con la realtà e non saper o voler lasciare.
Si apre un periodo critico, quello che vorrebbe un imprenditore capace di aprire alla delega e alla strutturazione, da un lato passando dal controllo diretto al controllo indiretto fatto di un sistema regolato, dall’altro da una imprenditorialità assoluta ma accentrata nel fondatore ad una imprenditorialità relativa ma distribuita nell’organizzazione.
Non è facile, l’imprenditore tante volte vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca, vorrebbe manager che strutturino l’azienda e vorrebbe continuare a gestire l’azienda come prima, al di sopra delle regole che vorrebbe che l’azienda adottasse, minando alla base la tenuta del progetto. E allora poi si apre la crisi con il manager inserito per strutturare l’impresa.
O il manager è troppo debole e si adegua all’estro dell’imprenditore, venendo però criticato per non aver realizzato quanto previsto, o è troppo forte andando così in conflitto con l’imprenditore e finendo spesso per essere rigettato dall’organizzazione.
E’ un tema delicato e di sistema, non è mai una responsabilità solo di una parte, è una evoluzione di equilibri che va accompagnata e spiegata perché venga compresa e gestita.

Ecco, ho come l’impressione che quello che abbiamo vissuto in questi giorni con Egidio Maschio non sia il dramma di una impresa in crisi, sia piuttosto il http://samedayessays.org/lab-report-help/ dramma di una evoluzione dell’organizzazione che l’imprenditore ha subito e non accettato, perdendo un ruolo che troppo fondava la sua identità personale senza avere il tempo o forse la capacità di elaborare l’accettazione del limite e la consapevolezza di una nuova stagione in cui lasciare la presa operativa per una guida più indiretta ma forse più alta.

Tornando al mio imprenditore sessantenne e a quello che noi facciamo con e per le imprese di famiglia, vorrei proprio che tanti imprenditori-fondatori sappiano che c’è chi sa riconoscere le loro fatiche e le loro sfide, che si possono confrontare per un cammino che li aiuti a lasciar andare, a capire che la vita non è solo il lavoro e che l’identità non è solo il ruolo. Che il nostro valore non si misura con il nostro potere. Ma anzi, vorrei vederli orgogliosi di dare senso al loro fare lasciando andare la loro creatura perché continui anche dopo di loro.
Con i loro figli, con i loro manager, con chi sa raccogliere l’eredità, senza cadere in una meccanica ripetizione del genio del fondatore, ma valorizzando la tradizione per andare oltre e indirizzare l’organizzazione verso un nuovo futuro.

Quale è il tuo Talento?

Posted on by Luca in Cambiamento, Formazione, Sviluppo Personale

Ama quello che fai e fai quello che ami.
- Wayne W. Dyer

Il Talento è una unità di misura che nell’antichità misurava quello che un uomo poteva portare. Nasce nel mondo sumero-babilonese e poi si diffonde dall’Egitto alla Grecia per rappresentare valori che vanno dai 25 ai 45 chilogrammi. Rimane misura di un peso importante, pari a 100 libbre o dracme ma diventa anche una moneta e una moneta preziosa, tanto da rappresentare allora ed oggi il valore di una persona.

Per una persona realizzata è facile dire che è talentuoso: ci sa fare con la musica, con gli affari, ha successo con lo sport, qualunque sia il suo valore è un valore riconosciuto dagli altri e di cui è consapevole.

Ma per chi ancora non si sente realizzato, per chi deve fare scelte di studio o di lavoro, la domanda sembra essere sempre quella: non so cosa fare, quale è il mio talento? Cosa dovrei studiare? Su cosa mi dovrei impegnare?

E se chiede consiglio non ne ricava molto. A seconda di chi trova avrà due tipi di risposte diverse: Fai quello che ti piace ovvero fai quello che viene apprezzato di più dagli altri.

Segui la tua passione o fai quello che più ha mercato.
Risposte che portano ad un corto circuito perché non so ancora cosa mi appassiona e non ho una competenza riconosciuta.

Cosa fare? Dove investire il proprio tempo?
Di sicuro non sprecandolo. Una delle più grandi maledizioni che Dio fa all’uomo nella Bibbia è proprio nella parabola dei talenti:

“Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha. E gettate questo servo inutile nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti”.

La maledizione non è nella condizione iniziale, chi ha ricevuto 5 talenti, chi 2, chi uno. La maledizione non è per il risultato che porta. La maledizione la riceve chi per ignavia, per paura, per insicurezza non si mette in gioco.
Ma torniamo al punto di partenza mi direbbe qualcuno mettermi in gioco dove? Per fare cosa?
In questo periodo in cui non ci sono opportunità poi, sembra abbiamo tutte le giustificazioni per non dover rendere conto di come impegniamo i nostri talenti.

Un circolo vizioso che può diventare un circolo virtuoso se partiamo dal qui e ora: fare al meglio delle nostre capacità in modo da creare valore per gli altri.

E probabilmente mi appassiono sempre di più se faccio una cosa per cui ho riscontri positivi da parte degli altri ed ho riscontri positivi da parte degli altri se faccio la cosa che più mi appassiona.

Perché poi vale la regola delle 10.000 ore di pratica di cui parla Gladwell: che tu voglia pilotare un aereo, suonare un violino o fare il falegname, solo tanta pratica e costanza farà di te un esperto. E il tuo valore riconosciuto.

Così come un talento non va dato per scontato. Va praticato ogni giorno, altrimenti succede quello descritto in una massima attribuita a tanti musicisti: “se non pratico un giorno me ne accorgo io, se non pratico per due giorni se ne accorge mia moglie, se non pratico per sei mesi se ne accorge il pubblico”.

Una ultima annotazione sulla importanza del riconoscimento reciproco dei talenti. Maslow lo spiega con la sua scala dei bisogni: l’autorealizzazione si appoggia sulle spalle dell’autostima. L’autostima sulle spalle del riconoscimento da parte degli altri.

A volte per stimolare il talento in chi ci sta attorno basta solo fare una cosa tanto semplice. Prendersi il tempo e la briga di andare a dire a chi ci sta attorno cosa apprezziamo di quello che fa. Ci prendiamo allora la soddisfazione di fare da sponsor a chi ci sta attorno aiutandoli a trovare la loro passione, aiutandoli a trovare il loro talento.
Ma la risposta più bella per avere una guida nel coltivare i propri talenti l’ha data Tolstoj nel suo bel racconto delle tre domande:

Qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte? 

Ricorda che c’è un unico momento importante: questo. Il presente è il solo momento di cui siamo padroni.
La persona più importante è sempre quella con cui siamo, quella che ci sta di fronte, perché chi può dire se in futuro avremo a che fare con altre persone?
La cosa che più conta sopra tutte è rendere felice la persona che ti sta accanto, perché solo questo è lo scopo della vita”.

Evviva i Conflitti!

Posted on by Luca in Family Business, Leadership, Sviluppo Personale

Siamo già arrivati al terzo webinar di The Family Business Unit. Dopo due webinar focalizzati sul tema delle imprese di famiglia e sul passaggio generazionale, tocchiamo un tema che interessa tutti. Chiunque lavori in una organizzazione o debba confrontarsi con altre persone deve poter gestire in modo efficace il confronto con gli altri.

Nelle dinamiche proprie delle imprese familiari la gestione del conflitto è però particolarmente rilevante. Come diciamo sempre, ci piace e ci pare che sia importante lavorare con le imprese familiari perchè mettono insieme il massimo degli interessi economici per chi ne è il titolare, qualunque siano gli importi in gioco, e il massimo delle dinamiche emotive e relazionali. Come è possibile allora non avere conflitti? Anzi vedremo che a volte un problema può essere proprio quello di non averne, o meglio, di non avere le condizioni per poterli agire.

Se però riusciamo a fare del conflitto una occasione di confronto e di crescita, ne guadagna il processo decisionale ma anche la fiducia e la relazione. Altrimenti addio alla qualità delle idee e all’armonia delle relazioni.
Ci sono allora tecniche e strumenti ma ancor più atteggiamenti e consapevolezze che ci possono aiutare a creare il giusto contesto per il confronto.

Sarà un piacere continuare insieme il nostro percorso di approfondimento sui temi delle imprese di famiglia!

Ci vediamo in linea Lunedì 1 Settembre, alle ore 18:30!

Per seguire il webinar ci potete raggiungere a questo indirizzo:
http://familybusinessunit.it/risorse/webinar-live/

Mentre se volete vedere i webinar precedenti potete accedere al nostro canale youtube:

Imprese di Famiglia: Orgoglio e Pregiudizio

Passare il Testimone

 

Consulenza Filosofica

Posted on by Luca in Family Business, Formazione, Sviluppo Personale

Domani avrò il piacere di parlare di quello che stiamo facendo con The Family Business Unit presso il Master in Consulenza Filosofica dell’Università di Venezia. Un onore e un piacere. Per tanti motivi. Sicuramente una legittimazione per il lavoro che stiamo facendo per le Imprese di Famiglia con The Family Business Unit. Ma soprattutto l’occasione per offrire agli studenti una testimonianza di quanto sia rilevante il loro approccio per lavorare con le organizzazioni e con le persone. Un approccio un po’ troppo meccanico potrebbe portare a pensare che basta parlare di tecniche di gestione se stiamo parlando di azienda o di comunicazione, se stiamo parlando di persone.

Ma non è così semplice. Parlare di imprenditori, delle loro famiglie, di figli che subentrano, in questo periodo di grande confusione vuol dire parlare di temi delicati come quello delle motivazioni che non possono più banalmente essere quelle dei risultati esterni sempre più imprevedibili ma devono toccare corde più profonde e più interne. Vuol dire parlare del perchè facciamo quello che facciamo e perchè dovremmo fare quello che siamo chiamati a fare.

Vuol dire parlare del senso, ovvero di quello che per antonomasia è la cura della ricerca filosofica.
E finalmente con  lavorare con la filosofia non ha più solo a che fare con lo studiare la storia del pensiero nè con riflessioni troppo acute per noi comuni mortali.
No, vuol dire mettere a riflettere insieme per aiutare noi e i nostri clienti a farci le domande che servono per darci le risposte di cui abbiamo bisogno. Perchè in un mondo tanto incerto, in cui mancano sempre più riferimenti e certezze, è fondamentale avere strumenti che ci aiutano a pensare.
Mi sa che vado portando esperienze e metodi, ma torno portando nuove riflessioni e nuovi punti di vista.

Impresa – Comunità

Posted on by Luca in Family Business, Leadership, Società, Sviluppo Personale

La soluzione per far incontrare domanda e offerta di lavoro
passa attraverso la ricostruzione di una dimensione di comunità.

 

Nell’editoriale sul Corriere del Veneto del 19 Gennaio, Paolo Gubitta riprende un dibattito che si è sviluppato nei media e in rete sulla distanza tra giovani e lavoro, tra preparazione scolastica e necessità delle imprese. Se da una parte ci sono giovani con grandi capacità e cresciuti in ambienti molto stimolanti, molti altri coltivano una visione del mondo poco congruente con la realtà, con aspettative che vengono poi frustrate da lavori mal retribuiti ma soprattutto non in grado di far fare un percorso di crescita e di professionalizzazione.

Sicuramente c’è spazio per un ruolo di aiuto e di indirizzo da parte delle scuole e delle università che con gli stage e gli uffici di placement possono aiutare il dialogo tra lavoro e impresa. E ancora di più si può fare stimolando giovani e imprese a ridefinire la dinamica della loro relazione.

Da un lato c’è da aiutare i nostri giovani a prendersi ancora di più la responsabilità di se stessi. Prima ancora che di sicurezze contrattuali ed economiche quali sono le esperienze e le competenze che vogliono costruire? Come aiutarli a farle emergere?
Lavorando sul proprio sviluppo personale, approfondendo la consapevolezza delle nostre passioni e dei propri talenti, sviluppando proprio un piano di crescita personale che parta dalla fine, da dove vogliamo arrivare, per sapere cosa accettare e a quali condizioni.

Ma aiutarli anche a non entrare in una pericolosa dinamica negoziale che li vede facilmente perdenti. E ad assumere invece un approccio di maggiore imprenditorialità personale. Un grande formatore come Zig Ziglar diceva che “Potete ottenere tutto dalla vita purchè siate capaci di aiutare gli altri ad ottenere ciò che vogliono”. E allora la domanda che dobbiamo aiutare i nostri giovani a farsi e a fare è questa: “posso aiutarti?” e interrogarsi su come possono proporre il loro contributo alle imprese.

Ma il report di Mc Kinsey punta il dito anche sui limiti delle imprese: della loro scarsa attrattività soprattutto quando sono più piccole, sotto i 50 dipendenti, come spesso capita dalle nostre parti. Attrattività che manca per la fatica a comunicare le proprie esigenze e ad offrire opportunità di lavoro che abbiano contenuti di autonomia e di responsabilità.

Un limite storico delle piccole imprese, tutte incentrate sulla figura dell’imprenditore che fatica a delegare e a condividere il proprio progetto e la propria visione. Un limite ancora più grande quando le incertezze di questo periodo impediscono di avere certezze e convinzioni sugli sviluppi futuri dell’impresa.

E’ proprio a partire dai nostri imprenditori e dalla loro visione di fare impresa che possiamo ristabilire una nuova relazione tra giovani e imprese.

Dobbiamo aiutare i nostri imprenditori a riprendersi in mano sogni e visioni, chiedendo una amministrazione pubblica che non li soffochi con richieste sempre più vessatorie, sia dal punto di vista fiscale che da quello normativo e sanzionatorio, come ancora sullo stesso Corriere segnala Severgnini, parlando di locali pubblici.

Riprendere in mano sogni e visioni che possono allora essere condivisi, possono essere alla base di una proposta di lavoro che diventa un percorso da fare insieme per la crescita di entrambi. Non siamo più nella condizione di avere grandi imprese che promettono ai giovani percorsi di carriera predefiniti e professionalizzanti, come capitava fino a qualche decennio fa. Siamo però nella condizione di ripartire da un contratto che prima ancora che giuridico è psicologico, relazionale. Fondato sulla fiducia e sul rispetto reciproco per costruire qualcosa che vada oltre alla contingenza del momento.
Non è neanche più solo una gara all’eccellenza, al talento, intesa in senso assoluto, con il rischio di un mercenarismo individualista che non fa bene a nessuno.

E’ invece la sfida di tornare ad investire insieme, giovani e imprese, per costruire comunità di passioni e di interessi, dove poter accettare il limite dell’inesperienza da una parte, dell’incertezza dall’altra.

E’ un recuperare al meglio la storia delle nostre imprese di famiglia, dove la passione e la visione di uno veniva supportata dall’impegno e dal sacrificio di amici e parenti che ne sposavano l’idea e lo supportavano. Ecco, è forse giunto il momento di dare la nostra versione di quel capitalismo consapevole di cui tanto si parla anche all’estero, di fondare o rifondare imprese che diventino imprese-famiglie, comunità fondate non solo sul sangue ma anche sulla partecipazione al progetto imprenditoriale.

Padre di – Figlio di – Padre di

Posted on by Luca in Family Business, Leadership, Sviluppo Personale


La dinamica che contrappone genitori e figli nell’azienda di famiglia rende ancora più esasperata una dinamica che coinvolge genitori e figli in tutte le famiglie.
Tra genitori e figli si apre una dinamica di credito-debito sempre difficile da sciogliere.
E’ una questione di autonomia e potere da una parte, di rispetto e gratitudine dall’altra. Se non creo la mia autonomia e la mia auto-sufficienza rischio di rimanere per sempre subalterno ai genitori con cui lavoro. Rischio di non crescere mai del tutto se rimango sotto l’ala protettrice di chi mi ha accudito da quando ero in fasce. Ma rischio di essere percepito per lungo tempo come un figlio di, e dovrò lottare con i pregiudizi di famiglia ma anche con i pregiudizi dei collaboratori e dei partner esterni, rimanendo spesso frustrato per l’essere sempre additato come figlio di.

Se non ho consapevolezza di quanto devo a chi mi ha preceduto, rischio di mancare del rispetto e della gratitudine dovuti a chi mi ha preceduto, ma ancor di più di dare per scontato il mio ruolo, con il rischio di non saper pesare veramente le mie competenze ma neanche quelle dei miei collaboratori.
Soluzioni? Sicuramente rimane fondamentale il consiglio di uscire di casa. Di farsi un’esperienza per conto proprio, magari condividendo con la famiglia un percorso che poi possa tornare utile in azienda, ma scegliendo di andare a fare esperienze che ci mettano alla prova fuori dalle comodità ma anche dalle limitazioni che la gabbia dorata dell’azienda di famiglia offre.

E non si tratta solo di una “vacanza” di una esperienza simbolica ma non significativa come può essere qualche stage o qualche periodo di lavoro in aziende più o meno compiacenti in cui rimanere in parcheggio in attesa di fare sul serio nell’azienda di famiglia.

Si tratta piuttosto di testarsi in un contesto che non ci prenda come figli di. Un contesto  in cui provare di valere, a noi stessi prima di tutto. E perché questo accada bisogna darsi l’obiettivo di maturare esperienze significative ma anche di ottenere risultati e promozioni sul campo, che mi facciano tornare a casa con i galloni che servono per poter

Ma c’è anche un aspetto di prospettiva che può aiutare a guardare in modo più completo alla dialettica tra generazioni in azienda, e per farlo è necessario allargare la prospettiva.
Se c’è sicuramente da prendersi cura dei genitori che diventano anziani, ma allo stesso tempo, il modo migliore per ricambiare tutto il bene ricevuto è prendersi cura delle generazioni che seguono, in un ciclo senza fine che ci prepara ad essere a nostra volta quelli che lasciano il testimone alle generazioni che seguono.

Parafrasando la pubblicità di orologi di lusso, tu non possiedi la tua azienda, la stai coltivando per le future generazioni.